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Un equilibrio sensibile fra agricoltura e allevamento, ma ancor prima fra uomo e montagna.
La prima sensazione entrando in Val di Fassa è di grande pace e armonia dove l’architettura tipicamente montana si fonde con le forme e i colori della natura più bella. Qui regna un equilibrio sensibile fra agricoltura e allevamento, ma ancor prima fra uomo e montagna.
Questo succede perché dietro ai semplici riti quotidiani come lo sfalcio dell’erba o l’allevamento del bestiame si nasconde un mondo di conoscenze, passate in custodia da generazione in generazione, che ha permesso alla gente delle valli ladine di creare una propria cultura per vivere in simbiosi con la natura.
La Val di Fassa fa parte dell’itinerario gastronomico la “Strada dei formaggi delle Dolomiti” che coinvolge più di 70 operatori fra aziende produttrici, botteghe, ristoranti, rifugi ed hotel che vi presentano l’eccellenza casearia; è un invito a conoscere il patrimonio naturale e l’amore per la terra dei fassani attraverso lo “Spetz Tsaorì”, meglio conosciuto come il Puzzone di Moena o “il Chèr de Fasha”, cioè il Cuore di Fassa prodotto del caseificio sociale della Valle.
Passeggiando per le vie dei paesi troverete ancora le piccole botteghe artigiane che ricordano i vecchi mestieri e le atmosfere intime ma vivaci dei centri abitati di montagna.
Le “faceres”, delle maschere di legno tipiche del carnevale ladino, sono tra gli articoli più caratteristici della produzione artistica locale da indossare o da appendere alle pareti di casa come fossero dei quadri.
Negli ampi prati circondati dalla maestosità delle Dolomiti trovate i “Tobiè”, i caratteristici fienili di legno scuro, con le travi bruciate dal sole che raccontano la vita contadina. Altrettanto tipiche sono le “Viles”, dei piccoli nuclei di case e fienili che si trovano sui pendii coltivabili dove i boschi e i pascoli vengono sfruttati in comune dalle famiglie locali.
Alla natura della montagna è dedicata anche la bandiera ladina a strisce orizzontali celeste, bianco e verde. Il verde è quello dei prati e dei boschi, il bianco rappresenta la neve e il celeste è il cielo che fa da contorno alle cime dolomitiche.
Come in Val Gardena, Badia, Ampezzo e Livinallongo, in val di Fassa si parla ancora il ladino che non è solo un dialetto locale, ma una lingua di minoranza etnica che sentirete spesso nella vita sociale quotidiana o leggerete nei menù di rifugi e ristoranti che propongono i piatti della tradizione.
Gli ingredienti delle ricette locali sono semplici e tipicamente contadini come farina, patate, uova, latte, burro e formaggio di malga, frutta e verdura fresca o carne che un tempo si mangiava solo nei giorni di festa. Sono piatti saporiti e genuini, carichi di un sapere tramandato nelle mura di casa da madre in figlio che oggi spesso viene interpretato in chiave moderna o gourmet da cuochi creativi e talentuosi.
La vita nelle valli ladine è scandita dal ritmo delle stagioni, dalle feste, sfilate ed eventi che risalgono a tempi remoti ma che ogni anno si rinnovano e tengono viva la cultura montana, religiosa, musicale e gastronomica.
Da non perdere per esempio è “La Gran Festa da d’Istà”: l’appuntamento di settembre che, oltre ai piatti tipici e alla musica locale, ha il suo momento clou durante la sfilata dei gruppi folcloristici in rappresentanza di tutte le comunità di lingua e tradizione ladina sparse nell’area alpina.
I costumi tradizionali di allora vengono indossati con piacere ancora oggi.
Un tempo, durante le feste, le ragazze nubili indossavano il grembiule e gli scaldabraccia bianchi fatti all’uncinetto sopra la gonna nera e il corpetto rosso, mentre le donne sposate portavano un grembiule blu e scaldabraccia neri. Se già madri invece aggiungevano alla loro cintura una moneta per ogni figlio. Anche gli uomini sono vestiti con i “Lederhose”, tradizionali pantaloni indossati con la giubba, la cintura ricamata a mano e il cappello.
L’orgoglio contadino e il forte senso di appartenenza hanno insegnato al popolo ladino della Val di Fassa il valore dell’ospitalità.
Succede perché le tradizioni ci insegnano chi siamo; sono reali ma indefinibili come un filo invisibile che non si è mai spezzato. Le memorie servono a mantenere la nostra identità per guardare al futuro e alla modernità nel pieno rispetto della natura e delle nostre origini.